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venerdì 2 agosto 2013

DRITTO COME L’OLIO

Può un non-scrittore avere la crisi del foglio bianco?
In teoria no, ma si sa le teorie spesso con la realtà, sorprendentemente, non hanno punti d’incontro. Io infatti non sono uno scrittore eppure ce l’ho.
La chiamo talvolta crisi artistica, altre volte mi piace chiamarla Martina Scavi, così perché è bello dare un nome alle cose. Anche un cognome, a volte. 

E sino a stasera ce l’ho avuta, cazzo, la Martina Scavi dico. Voler scrivere qualcosa e non riuscirci, perché hai un blocco creativo/artistico/simpatico/comunicativo.. è brutto.

Eppure poi arriva il giorno che passa. Basta trascurare la tv, mettere sul canale 700 di sky entrare nelle web radio e sintonizzare su Rock Nation che senza pubblicità offre a rotazione belle canzoni rock di ogni decennio. Che poi ora che ci ragiono, come fa a vivere senza pubblicità una emittente del genere? Sarebbe da andarci a fondo, ma non lo farò, perché sono pigro. Sta di fatto che in questo modo si crea la giusta atmosfera che fa venir voglia di scrivere le cose.

E così ripenso un po’ a queste ultime settimane vissute tra piccoli e grandi impegni, tallonato da problemi alla mia zampa sinistra che paiono non passare mai e proprio a tal proposito citerò un aneddoto che è la fotografia che ben inquadra il momento sfigamolle che sto attraversando.

Ennesima risonanza del 2013, la quinta se non sbaglio. Ed io non sbaglio. 

Per chi non l’avesse mai fatta, immaginate di essere infornati tramite un lettino scorrevole in un forno a legna tipo quello delle pizze, solo un po’ più tozzo. Bene. Ora prendete una grossa lavatrice industriale, un martello pneumatico e un team di muratori armati di arnesi a caso e urlate “Pronti.. Via!” .. e via tutti insieme per 25 minuti. Ecco, esattamente così.

Ebbene, ne ho fatte talmente tante che inizio a trovare una musicalità in quel frastuono disordinato. E’ diventato un genere che apprezzo più della musica Techno Hardcore e di Gigi D’Alessio, il quale, va detto per correttezza, lo metto dietro anche alla gara di rutti della festa della birra di Larciano (PT).

Per non farci mancare nulla, me l’hanno fissata a Padova. Padova non è lontana per uno che sta chessò… a Padova per esempio. Per uno che sta a Modena invece è lontana. Tanto per fare un parallelo, è come se ad uno di Padova la fissassero chessò.. a Modena, ecco, per capirci. Già… Tipo 300 km andare e tornare. 

“Vai lì alle 17,30, porta l’impegnativa, paghi e ti danno subito l’esito alla fine” – così parlò il mio medico e alla mia richiesta del nome della clinica lui categorico - “Non puoi sbagliare, uscita Monselice, ci sono subito i cartelli che ti portano alla clinica”.. Abbagliato da tanta convinzione non faccio più domande e parto. Arrivato a Bologna manco clamorosamente lo svincolo per Padova, idiota. 
Rimessomi in carreggiata proseguo, annoiato, verso l’uscita Monselice che poi ci sono i cartelli facili. 

Esco, preoccupato di non vedere alcun cartello e invece mi si para davanti un enorme insegna MEDI CLINIC con tanto di immagine della struttura. Aveva ragione lui. Seguo le indicazioni e arrivo con una manciata di minuti di anticipo alla clinica... sbagliata!!! Se non altro la receptionist si è fatta una gran risata alla mia frase di congedo: “Bene dai, anche oggi la mia figura di merda l’ho fatta, alla prossima, arrivederci!” e via verso la clinica giusta, ottenuta dopo una chiamata al doc!

Mentre aspetto il mio turno gioco a ruzzle, che mi ha ampiamente rotto le palle, ma devo ammettere che nei tempi morti svolge ancora bene la sua funzione. Certo che ogni volta a dover inanellare la noiosa ma redditizia serie di “ara-arai-are-ina-teri-aia-pia-poi..” ci si spacca la minchia. Che poi dopo mesi ancora non ho imparato che “Tera” non lo da buono e testardo lo digito ottenendo il meritato suono di errore.

Ecco la donnina chiamarmi, è giunto il momento del rumoroso esame. Ella si dimostra da subito estremamente cordiale, anche troppo.. quel tipo di persone che ci tengono a far capire la bontà delle proprie azioni e che mentre fanno le cose le dicono usando il plurale “Adesso mettiamo qui la cartelletta con tutte le documentazioni così non le perdiamo, poi compiliamo questo foglio” e lo fa lei. Cordiale si, ma ingannevole.

Il macchinario non è il convenzionale, quello a cui ho fatto riferimento prima, è un po’ diverso. Ed infatti è macchinario adatto soltanto alle articolazioni, limitatamente a quelle, ed io necessito di una più ampia sezione della gamba, dal ginocchio in giù. Appresa la notizia, la gentil donnina non si scompone ed anzi si prodiga a trovar soluzione.. e cazzo la trova. “Ne facciamo due, in due diverse sezioni”. Non lo do a vedere, ma a me pare una soluzione di una pochezza rara, un lavoro fatto un po’ col culo, raffazzonato in qualche modo. Dico che va bene.

L’infinita cinquantina di minuti per le due risonanze passa, ed io ringrazio il cielo perché dover stare immobile, nel baccano, per quanto in posizione sommariamente comoda, dopo un po’ ti crea cazzo di tensioni alla schiena e agli adduttori.. per non parlare poi se ti viene prurito al piede.. Insomma, una risonanza è per gente cazzuta, figuriamoci due!

Ringrazio la donna, che sempre con fare estremamente cordiale mi dice di attendere alcuni minuti nella sala d’aspetto, però non quella in cui aspettavo prima della risonanza, ma quella più avanti, passando il corridoio e mantenendo la destra, dove vedo la scritta ritiro esiti... e me lo ripete una seconda volta per essere ancora più chiara, ma io avevo già capito a metà della prima spiegazione, anche perché non siamo al St. Francis Memorial Hospital di San Francisco, è una clinica di Monselice, bellina ed efficiente per carità, ma piccolina. Mi avvio..

Nell’attesa dei miei esiti, un po’ teso perché spero vi siano notizie finalmente positive, mi chiedo quando e se rivedrò mai quella gentile signora e del senso di questi incontri. Persone che vedi una volta nella vita, con cui hai a che fare, scambi due battute e poi non le rivedi più. Punti di contatto fugaci che il più delle volte durano l’arco di una giornata per poi essere dimenticati tornando a casa.. chissà quando la rivedrò un cazzo, eccola che torna e dice di seguirla. La seguo confuso, magari mi vuol far parlare direttamente col dottore refertatore, forse sono un cleptomane e ho rubato delle robe, che ne so..

Arriviamo in un’altra sala medica, vedo un macchinario molto più simile alla solita risonanza e: “Guarda scusa ma..ti devi  togliere tutti gli oggetti metallici e mettere quel camice e vieni che ne facciamo un’altra” 

Facciamo? Io ne faccio un’altra! Cazzoooo.

Mi spiega che l’impegnativa parlava di caviglia, che doveva esserci scritto arto.. e che quella che andavo a fare era più completa. Si scusa ripetutamente, ma in effetti non dovrebbe, non è colpa sua.. ma si sa, certe persone, squisite, ti chiedono scusa a prescindere. Mi pesa da matti, ma mi adagio sul lettino, mi infilano, altro frastuono interminabile.. sorrido per lunghi tratti della terza risonanza giornaliera, un po’ perché voglio sdrammatizzare e un po’ perché è una risata isterica, quella che precede la pazzìa.

Terminato il terzo ed ultimo atto guardo l’orologio, le 20 sono passate da una decina di minuti. Affaticato dopo il pomeriggio trascorso tra macchina e ‘cantiere’ mi sollevo e vado a rivestirmi. Penso siano finite le beffe di quel giorno e invece ce n’è un’ultima, il colpo di coda. Visto l’orario inoltrato, il refertatore è (giustamente) andato a casa dalla famiglia, quindi gli esiti li avrò soltanto all’indomani. Bene. Neanche torno a casa con gli esiti. Avevo avvisato 50 persone che avrei fatto sapere gli esiti entro sera.. perfetto.

C’è sempre un lietofine però. E me lo regala lei, la persona più influente di quella mia giornata. La donnina d’animo buono. Si scusa per la quattordicesima volta se non sbaglio, ed io non sbaglio, e mi lascia con una frase che recita testualmente:

“Mi spiace, bastava compilare diversamente la ricetta e saresti venuto direttamente in quest’ultima macchina a fare la risonanza, dritto come l’olio”.

Dritto come l’olio. Questa me la segno, ho pensato.